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Robert Sapolsky: L'uomo che sussurrava ai babbuini

Robert Sapolsky: L'uomo che sussurrava ai babbuini
Parte 1 di 3 — La storia, lo stress, e trent'anni nella savana

Un ragazzino con idee strane

Robert Sapolsky nasce nel 1957 a Brooklyn, figlio di immigrati ebrei ortodossi dall'Unione Sovietica. Cresce in un mondo di regole rigide e aspettative precise, ma fin da piccolo mostra una fascinazione per qualcosa di completamente diverso: i gorilla di montagna. A dodici anni scrive lettere ai primatologi più famosi del mondo chiedendo consigli su come studiare le grandi scimmie. Nessuno gli risponde, ma lui non demorde.

Quando arriva ad Harvard per studiare antropologia biologica, Sapolsky è già un personaggio: capelli lunghi, barba incolta, un'energia nervosa che lo spinge a parlare velocissimo di neuroni e ormoni mentre i suoi compagni pensano ancora a quale corso scegliere. Si laurea summa cum laude in soli tre anni, poi si trasferisce alla Rockefeller University per il dottorato. Il suo progetto? Andare in Africa a studiare lo stress nei babbuini selvatici.

La scelta dei babbuini non è casuale. Sapolsky ha bisogno di primati che vivano in gruppi sociali complessi, con gerarchie chiare e molta politica interna. I babbuini della savana africana sono perfetti: passano la vita a formare alleanze, tradirle, scalare la gerarchia sociale, e stressarsi a vicenda. Sono, in un certo senso, i primati più simili agli umani in termini di struttura sociale — e anche in termini di malattie legate allo stress.

Trent'anni nella savana del Kenya

Nel 1978, a ventun anni, Sapolsky parte per il Kenya. Si stabilisce nella riserva del Masai Mara, in un campo di ricerca spartano dove vivrà per quattro mesi all'anno per i successivi venticinque anni. Il suo metodo è semplice e brutalmente impegnativo: seguire lo stesso gruppo di babbuini dall'alba al tramonto, ogni giorno, osservando ogni interazione sociale, annotando chi picchia chi, chi fa grooming a chi, chi si accoppia con chi.

Ma Sapolsky non si limita all'osservazione comportamentale. Ha bisogno di dati fisiologici. Così impara a usare una cerbottana per anestetizzare i babbuini a distanza, prelevargli campioni di sangue, e poi aspettare che si riprendano — tutto senza che il gruppo lo attacchi. È un lavoro pericoloso: i maschi adulti di babbuino hanno canini lunghi quanto quelli di un leone e non esitano a usarli. Più di una volta Sapolsky si ritrova a correre per salvarsi la vita.

I campioni di sangue servono per misurare i livelli di cortisolo, l'ormone dello stress. L'ipotesi iniziale di Sapolsky è intuitiva: i babbuini in cima alla gerarchia dovrebbero avere meno cortisolo di quelli in fondo. Essere il capo significa avere accesso al cibo migliore, alle femmine più fertili, ai posti più sicuri per dormire. Essere l'ultimo della fila significa prendere botte, mangiare gli avanzi, e vivere in costante allerta.

I primi dati confermano l'ipotesi: i maschi dominanti hanno livelli basali di cortisolo più bassi, pressione sanguigna migliore, sistemi immunitari più efficienti. I subordinati, invece, mostrano tutti i segni dello stress cronico: cortisolo elevato anche a riposo, colesterolo HDL basso, linfociti ridotti, pressione alta. In termini umani, i babbuini in fondo alla gerarchia sarebbero candidati perfetti per infarti e ulcere.

La scoperta che ha cambiato tutto

Ma la storia non finisce qui. Dopo vent'anni di osservazioni, Sapolsky nota qualcosa di strano: non tutti i maschi dominanti stanno bene, e non tutti i subordinati stanno male. La gerarchia spiega una parte della varianza nei livelli di stress, ma non tutta. Cosa distingue un subordinato che soffre da uno che se la cava?

La risposta, emersa lentamente dai dati, è il contesto sociale. I babbuini con legami sociali forti — amici, alleati, partner di grooming stabili — mostrano livelli di stress più bassi indipendentemente dal loro rango. Un subordinato con una rete sociale solida sta meglio di un dominante isolato. E un dominante che passa il tempo a difendere aggressivamente la sua posizione, senza mai rilassarsi, finisce per avere lo stesso profilo ormonale di un subordinato cronico.

Questa scoperta ha implicazioni enormi. Sapolsky la riassume così: nella savana, il tuo rango conta, ma conta ancora di più come lo vivi. Un dominante "stronzo" — quello che picchia i subordinati per sfogare la frustrazione, che non condivide, che non fa grooming — paga un prezzo fisiologico altissimo. Un subordinato che ha trovato la sua nicchia, che ha amici fidati, che non aspira a scalare la gerarchia, può vivere benissimo.

La tragedia che divenne esperimento naturale

Nel 1986 succede qualcosa di inaspettato. Un lodge turistico vicino al territorio del gruppo di babbuini studiato da Sapolsky (chiamato "Forest Troop") inizia a scaricare cibo avanzato in una discarica. I babbuini scoprono questa fonte di cibo facile e iniziano a razziare regolarmente. Ma c'è un problema: solo i maschi più aggressivi riescono ad accedere alla discarica, perché devono competere con un altro gruppo di babbuini che la considera territorio suo.

Poi arriva la tubercolosi bovina. La carne infetta nella discarica uccide quasi tutti i maschi che la frequentavano — che erano, per definizione, i più aggressivi del gruppo. Nel giro di pochi mesi, Forest Troop perde metà dei suoi maschi adulti, e tutti quelli rimasti sono i "bravi ragazzi": i meno aggressivi, quelli che preferivano stare con le femmine e i giovani invece di combattere per il cibo spazzatura.

Sapolsky, devastato dalla perdita di animali che conosceva da anni, abbandona lo studio. Non torna per dieci anni. Quando finalmente si decide a tornare nel 1996, si aspetta di trovare il gruppo estinto o assorbito da altri. Invece trova qualcosa di straordinario.

Forest Troop è ancora lì, ma è irriconoscibile. I babbuini siedono più vicini tra loro. Si fanno grooming più spesso. La gerarchia esiste ancora — i maschi competono ancora per il rango — ma i vincitori non sfogano la frustrazione sui perdenti. I subordinati non mostrano più i classici segni dello stress cronico. L'intera cultura del gruppo è cambiata.

La cosa più sorprendente è questa: nei dieci anni di assenza di Sapolsky, tutti i maschi originali sopravvissuti alla tubercolosi sono morti di vecchiaia. I maschi attualmente nel gruppo sono tutti immigrati arrivati da altri gruppi dopo la tragedia (i maschi di babbuino lasciano il gruppo natale alla pubertà). Eppure la nuova cultura persiste. In qualche modo, i nuovi arrivati vengono socializzati alle norme pacifiche di Forest Troop invece di importare l'aggressività tipica della specie.

Cosa ci dicono i babbuini sugli umani

Sapolsky è sempre stato cauto nel trarre conclusioni dirette dai babbuini agli umani. I babbuini non hanno linguaggio, cultura simbolica, religione, ideologia. Non possono riflettere sul significato della loro esistenza o decidere consapevolmente di cambiare comportamento. Eppure, dice Sapolsky, proprio per questo sono interessanti: ci mostrano quanto del nostro comportamento sia biologico, pre-culturale, condiviso con altri primati.

Le lezioni principali sono tre. Prima: lo stress cronico uccide, e la posizione nella gerarchia sociale è uno dei principali determinanti dello stress. Questo vale per i babbuini e vale per gli umani. Decenni di ricerca epidemiologica hanno confermato che, a parità di altri fattori, le persone in fondo alla scala sociale muoiono prima e peggio di quelle in cima.

Seconda lezione: i legami sociali proteggono dallo stress più del rango. Un operaio con una famiglia unita e amici fidati può stare meglio di un CEO isolato e paranoico. Questo non significa che la povertà non sia un problema — lo è eccome — ma significa che l'isolamento sociale è un fattore di rischio indipendente e potentissimo.

Terza lezione, la più controversa: la cultura può cambiare. Forest Troop dimostra che anche nei primati non umani, un evento traumatico può resettare le norme sociali e creare un nuovo equilibrio più pacifico. Se questo è possibile nei babbuini, dice Sapolsky, forse è possibile anche per noi. Non siamo condannati all'aggressività e alla competizione spietata dalla nostra biologia. La biologia ci dà tendenze, non destini.

Ma c'è un paradosso in questa conclusione ottimista. Se la cultura può cambiare, chi decide di cambiarla? Se siamo prodotti della nostra biologia e della nostra storia, dove troviamo la libertà di scegliere una direzione diversa? Queste domande porteranno Sapolsky, decenni dopo, a scrivere un libro che nega completamente l'esistenza del libero arbitrio.

Ma questa è la storia della prossima parte.

Robert Sapolsky: L'uomo che sussurrava ai babbuini